Signore e Signori,
Robert Schuman, uno dei fondatori del progetto europeo, affermò: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costituita tutta insieme. Essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”.
Se la concretezza era una necessità, in un’Europa da ricostruire sulle macerie della seconda guerra mondiale, la solidarietà rappresentava un obiettivo più alto e, in un certo senso, nuovo nella storia europea.
Il termine “solidarietà” ha origine nella parola latina “solidus”. È definita come “sostegno reciproco” e ci dice che la forza di un corpo sta nella sua coesione. Coesione che, a livello sociale, scaturisce dalla coscienza di far parte di un destino comune. Una società solidale e coesa è quindi una società solida.
Non è quindi un caso che “solidarietà e coesione” siano parole ricorrenti neI testi dell’Unione Europea.
Dopo le crisi che hanno colpito l’Europa negli ultimi 10 anni il richiamo alla solidarietà è quanto mai necessario: il panorama del nostro continente è, infatti, molto più eterogeneo rispetto a prima.
Alcuni dati.
Il PIL in Germania è dell’11% maggiore rispetto al periodo pre-crisi. In Italia, invece, è del 7% inferiore.
Gli investimenti nei paesi “core” sono aumentati del 10% rispetto al periodo pre-crisi; nei paesi periferici, tra cui l’Italia, essi sono calati del 20%.
Il tasso di disoccupazione in Germania oggi è pari a circa il 3% rispetto all’oltre 10% dell’Italia.
Più in dettaglio, nel solo Mezzogiorno i disoccupati hanno raggiunto le 900.000 unità, cioè il 50% in più che in tutta la Germania, nella quale però vivono 82 milioni di persone a fronte dei 20 del Sud Italia.
Infine, l’istruzione, che a mio avviso è un tema cruciale se vogliamo guardare al futuro con speranza.
In Italia, soltanto il 18% della popolazione attiva ha una laurea, contro il 37% della media OCSE. Percentuali preoccupanti in un mondo in cui essere competitivi richiede tassi elevati di ricerca ed innovazione e quindi elevata formazione.
Al dualismo europeo tra paesi “core” e paesi periferici si somma il persistente dualismo interno, tra il Nord Italia mediamente prospero e dinamico, e il Sud.
Il rapporto Svimez evidenzia dati preoccupati sull’impoverimento quantitativo e qualitativo della popolazione: negli ultimi 16 anni circa 1,2 milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno, la metà di essi giovani tra i 15 e i 34 anni e quasi un quinto, laureati. Il 16% di essi si è trasferito all’estero.
E’ evidente l’impatto che tutto questo genera sul potenziale di sviluppo del Sud Italia. Ed infatti il Mezzogiorno, nel periodo 2000-2016 è tra le regioni europee che hanno visto contrarsi maggiormente il PIL.
Se poi guardiamo all’occupazione, al Nord - e non è un dato brillante - essa è cresciuta di più del 2% in dieci anni. Della stessa misura essa è, invece, diminuita al Sud. A fine 2018 la disoccupazione nel Mezzogiorno era del 18,4% rispetto al 6,6% del Centro Nord. I dati della disoccupazione giovanile, intorno al 50% per alcune regioni del Mezzogiorno, sono tra i peggiori d’Europa.
E i dati sulla dispersione scolastica sono davvero allarmanti: la percentuale di giovani che abbandona il sistema formativo al Sud è pari al 18,5%, rispetto all’11,1% del centro Nord e del 10,6 medio europeo. Altri dati poi ci dicono che i 15enni con scarse competenze in matematica sono il 34% al Sud, contro il 16% al Nord.
Infine, c’è un tema di qualità dei servizi. Un esempio: il saldo di ricoveri ospedalieri extraregionali è negativo nelle regioni del Sud per oltre 114.000 unità. Tante famiglie meridionali sono costrette a recarsi a Nord per avere accesso a cure sanitarie di livello adeguato.
E’ quindi chiaro che se dobbiamo ristabilire una prospettiva di crescita credibile dell’Italia, diventa necessario riavvicinare progressivamente l’attività produttiva, l’occupazione e la qualità della formazione nel Sud a quelle del resto del Paese e quelle dell’Italia ai migliori Paesi Europei.
Diceva Francesco Saverio Nitti: “La questione meridionale è una questione economica, ma è anche una questione di educazione e di morale. L'Italia meridionale non deve chieder nulla: deve solo formare la sua coscienza, perché reagisca alla continuazione di uno stato di cose che impoverisce e degrada.”
Ancora oggi queste parole suonano veritiere. Ma non devono farci dimenticare che c’è anche un Sud che ha sviluppato una coscienza matura, che progredisce grazie a un nuovo spirito imprenditoriale. E che, tramite il proprio esempio, può ispirare tutto il Mezzogiorno.
Come istituzione bancaria il nostro lavoro si basa sulla conoscenza delle imprese e dei progetti di sviluppo sul territorio. E ve lo posso garantire: ci sono tante imprese anche nel Mezzogiorno, che danno un'immagine ben diversa rispetto a quella stereotipata e, oggi, perdente.
ST Microelectronics ha lanciato nei centri di Catania un programma di ricerca per i materiali dell’era post-silicio. Come BEI abbiamo sostenuto STM con 2,3 miliardi di euro, di cui 1,4 destinati alle attività negli stabilimenti italiani.
Certo, STM è un gigante dell’industria a livello internazionale, ma non è l’unica azienda innovativa. Ad esempio, in Puglia, MerMec (impresa leader nella sicurezza e segnalamento ferroviario) ha beneficiato di un prestito BEI da 30 milioni.
Recentemente, poi, grazie alla collaborazione con il MIUR, sempre in Puglia abbiamo finanziato Roboze, una start-up fondata da un imprenditore oggi ventottenne che ha vinto il premio “start-up 2018” di Ernst & Young e che è stato inserito da Forbes tra gli under 30 più influenti d’Europa. Roboze, mediante tecniche di stampa 3D realizza prodotti per colossi come Airbus, Bosch, Mercedes, GE.
Un segnale interessante ed una opportunità, perché ci dice che nel mondo globale e ad elevata digitalizzazione - ed in cui i costi di trasporto delle merci sono in calo - alcune fasi del processo produttivo non hanno necessità di prossimità geografica con gli impianti principali.
Per la BEI esiste un legame inscindibile con il Mezzogiorno.
Nella Conferenza di Messina del 1955 l’Italia propose di creare un’istituzione finanziaria con la missione di sostenere lo sviluppo comune europeo e in particolare quello delle regioni più arretrate.
Questa idea fu incorporata nel Trattato di Roma e portó alla fondazione della BEI nel 1958, in linea con l’obiettivo del Trattato stesso di uno “sviluppo armonioso” del continente europeo.
La creazione della Bei, quindi, riferendoci alle parole iniziali di Schuman, rappresentò un’iniziativa concreta per realizzare il principio di solidarietà.
Da allora l’obiettivo della coesione territoriale è centrale nell’attività della Banca.
E l'Italia è uno dei maggiori beneficiari di risorse europee di ogni genere: finanza BEI, ma anche fondi strutturali.
Nell'attuale quadro finanziario pluriennale, al nostro Paese sono assegnati fondi europei per 44,6 miliardi, di cui due terzi destinati alle “aree svantaggiate”, ossia le otto regioni del Sud.
A fine 2018 l'Italia era però in ritardo nell'attuazione dei programmi di impiego dei fondi: solo il 20% risultava speso, al di sotto della media dell'UE (27%) e al quartultimo posto tra i Paesi europei. Oggi, mentre noi siamo in affanno per non perdere i fondi del periodo 2014-2020, altri Paesi stanno già pianificando gli investimenti da realizzare nel periodo 2021-2027.
Ciò denota la grande difficoltà di fare investimenti pubblici, soprattutto al Sud. Le cause sono molte e di varia natura. E spesso il limite a realizzare investimenti non sta tanto nella disponibilità di risorse finanziarie, quanto nell’impoverimento delle competenze tecniche della Pubblica Amministrazione – la peggiore eredità della crisi a mio avviso – oltre che nella difficoltà a districarsi in un labirinto di regole stratificatesi nel tempo.
Per superare queste difficoltá stiamo offrendo il nostro contributo. Per esempio, con il programma europeo di assistenza tecnica gratuita JASPERS (Joint Assistance to Support Projects in European Regions). Affiancando le strutture di alcune Regioni del Sud Italia ogni anno i nostri tecnici evitiano la perdita di centinaia di milioni di fondi strutturali.
Per esempio, nel 2015-2016, abbiamo sostenuto 14 grandi progetti del programma nazionale trasporti e del programma regionale Campania per la realizzazione di nodi ferroviari e stradali. Attualmente i nostri tecnici stanno assistendo le Regioni in ulteriori progetti nel settore dei trasporti per un valore di 3 miliardi, che serviranno a garantire il pieno utilizzo dei fondi disponibili (per esempio, per il completamento della linea ferroviaria Napoli-Bari).
Oggi, poi, i fondi strutturali possono essere utilizzati in modi innovativi. Ad esempio il programma JESSICA (Joint European Support for Sustainable Investment in City Areas), prevede la costituzione di fondi di sviluppo urbano insieme al settore privato per investire in progetti di riqualificazione economicamente validi. Con il vantaggio aggiuntivo di introdurre la logica revolving su risorse in precedenza spese a fondo perduto.
Questo strumento adottato in Sicilia, Campania e Sardegna, ha sostenuto 75 progetti di sviluppo urbano ed efficienza energetica. Con poco meno di 300 milioni di fondi strutturali sono stati mobilizzati quasi 800 milioni di investimenti, generando un effetto leva di 2,7x.
Al riguardo esistono tante belle storie.
1,4 milioni di euro investiti nella riqualificazione del Centro ANFFAS di Selargius, in Sardegna, in cui le persone con disabilità intellettiva riescono a partecipare alla vita della propria comunità.
L’iniziativa “Sardegna CO2.0” lanciata dalla Regione per migliorare l’efficienza energetica in tutta l’isola ha ricevuto risorse per 35 milioni.
L’Università Kore di Enna ha ricevuto 12,4 milioni. Le strutture dell’università ospitano un simulatore di volo full motion per il corso di ingegneria aerospaziale – una novità assoluta in Europa.
La riconversione dell’ex birrificio Peroni a Napoli e la riqualificazione degli edifici dell’Universitá del Sannio a Benevento.
Sulla base di queste esperienze positive, il MIUR ha dato in gestione alla BEI un fondo di 186 milioni per finanziare, in partnership con intermediari finanziari, progetti di R&S nel Mezzogiorno: fino ad oggi, oltre 40 milioni hanno finanziato piccole società innovative del Sud.
Abbiamo già ricordato Roboze. Ma anche: (1) ITEL – piccola società pugliese leader nella progettazione di apparecchiature di risonanza magnetica e diagnostica per immagini; (2) Blackshape –start-up innovativa nel settore aerospaziale e aeronautico, anche questa con sede nel barese; (3) CMD – azienda presente in Campania e Basilicata attiva nel settore dei motori a combustione interna.
In sintesi, per stimolare la crescita delle regioni meridionali occorrono programmi di investimento di qualità, infrastrutture anche nel campo della conoscenza e dell’innovazione, sostegno alla R&S e credito adeguato.
Il gruppo BEI può avere un ruolo anche per sostenere la crescita di comparti del sistema finanziario Italiano oggi non adeguatamente sviluppati ma necessari per stimolare una ripresa del Sud centrata sull’innovazione.
Pensiamo a garanzie a favore degli intermediari che prestano a start-up innovative (la Bei è attuatore del programma europeo Innovfin), a fondi di Technology Transfer (Itatech è un precedente di successo) e in generale al venture financing, che in Italia, benchè in crescita, è pari solo al 10-20% dei paesi europei più avanzati.
Per darvi un’idea dell’impatto di questo tipo di interventi, in tre anni, la BEI nell’ambito del Piano Juncker ha fornito venture debt ad aziende europee altamente innovative per 1,8 miliardi. Si stima che ciò genererà 25.500 posti di lavoro altamente qualificati e ulteriori 16 miliardi in R&S.
Questo, in aggiunta ai 12 miliardi che il FEI ha attualmente investito in fondi Europei di Venture Capital.
Per concludere, sono fortemente convinto che il risveglio del Mezzogiorno passi per investimenti in conoscenza, innovazione, ricerca.
In inglese esiste una parola difficilmente traducibile in Italiano: “leapfrogging”. Essa significa fare un salto nello sviluppo ponendosi al livello più evoluto senza passare per le fasi intermedie.
Forse il Sud, una volta realizzato il necessario adeguamento infrastrutturale (e penso a infrastrutture materiali e immateriali), costruendo su esempi di successo di “knowledge economy” come quelli citati, e puntando sulle sue risorse – umane in primis – potrà realizzare questo salto di qualità nella crescita.
Sempre Nitti scrisse: “L'Italia meridionale ha poca ricchezza e poca educazione industriale: pure lo Stato quando ha speso per essa, ha speso più per mantenere il parassitismo, che per combatterlo. Invece è l'educazione industriale che bisogna formare”. Oggi potremmo sostituire al termine “educazione industriale” quello di “educazione alla tecnologia”, ma il succo non cambia: era il 1900 quando il testo “Nord e Sud” da cui è tratta questa citazione veniva pubblicato. 120 anni dopo, la ricetta rimane sempre la stessa.
Vi ringrazio.